Questa volta all'appuntamento mensile (01/04/2015) con le degustazioni della Confraternita del Grappolo
si avverte da subito che si tratterà di qualcosa di particolare: lo rivelano la
puntualità degli ospiti e quella dei Confratelli, l’aria frizzante carica di
aspettative, l’abbraccio caloroso per qualcuno che si era perso di vista e
fogli pieni di appunti e cancellature che mostrano una dovuta preparazione.
Seguendo il proprio stile,
la Confraternita affronta la prima delle serate in programma sulla Borgogna con
la giusta meticolosità ma in modo ugualmente sincero e diretto: il primo
contatto con l’arcinota zona avviene attraverso 6 vini che partono dall’Appelation
Communale, quelli che verrebbero definiti in modo spicciolo quanto forse
denigratorio “vini base”.
Questa prima fase
esplorativa “a volo d’uccello” si può svolgere nello spazio di poche centinaia
di ettari in un ipotetico collegamento che non supera i 50 Km sulla via che
dalla periferia di Digione scende verso Lione.
Aldilà delle esperienze
pregresse o del personalissimo bagaglio degustativo di ognuno di noi, ad
incutere soggezione e al tempo stesso emozionare è che non solo si avrà a che
fare con uno dei vitigni più particolari del pianeta ma soprattutto il fatto
che l’area in esame è quella dove senza ombra di dubbio il Pinot Noir non ha
eguali sul suddetto pianeta.
Da quello che riguarda le
pratiche di cantina alle tecniche in vigna, dall'aura di finto torpore e di
immensa tranquillità che trapela dai ricordi di chi c’è stato, alle storie di
famiglie e al passare delle stagioni, qui tutto sembra armonizzato dal Tempo,
signore indiscusso che ha permesso alle generazioni che hanno lavorato e creato
in Borgogna di arrivare alla piena conoscenza dell’arte di fare il pinot noir.
Basterebbe già questo per meritare tutto il nostro rispetto.
Rimandiamo alle letture
sulla Borgogna o alle notizie disponibili sui siti delle aziende chi volesse
rendersi conto dell’approccio che i francesi della zona hanno con il concetto
di qualità/quantità: diciamo che 12000 piante per ettaro e 35-40 quintali di
resa possono già chiarire ampiamente questo concetto.
Il Confratello Massimo Caluori fa da
anfitrione e apre le danze descrivendo le zone, le denominazioni, le pratiche
vitivinicole e quant'altro possa inquadrare i vini della magica Côte d’Or.
Le note di degustazione a
seguito riportate sono un’estrema sintesi delle parole dette, di quelle non
dette, di quelle sussurrate al vicino e delle espressioni facciali dei
confratelli e degli ospiti presenti.
Il nostro viaggio (da
fermi!) di questa sera parte dalle “Hautes
Côtes”, le colline sui 300 metri che
dominano la più blasonata Côte d’Or, con Hautes Côte de Beaune
Orchis Mascula 2012 del Domaine Henri Naudin
Ferrand, punto di riferimento assoluto in questa zona. L’azienda, pur non
avendo alcuna certificazione in merito, è gestita da sempre con concezione bio;
per la vinificazione vengono utilizzate bassissime quantità di solforosa nella
fermentazione a grappolo intero.
Nel bicchiere questo 2012
rivela ovviamente la sua giovinezza nei toni vispi rubino/violacei; saltano
fuori i sentori floreali molto delicati accompagnati e forse subito dopo
sormontati dalle sensazioni foxy (quel tocco “sauvage” magari più gradevole in
vini più elevati nel tempo). Altri hanno apprezzato le note di moka e
soprattutto di frutta rossa ben delineate. In bocca la persistenza non è
notevole e malgrado torni quella tostatura molto presente, dovuta secondo
alcuni all’utilizzo delle barriques nuove, spicca la freschezza: una bella
acidità bilanciata che fa ben sperare in un miglioramento tra qualche annetto.
Voto (del nostro enologo di riferimento): 86,5.
Il secondo calice contiene Gevrey Chambertin vieilles vignes 2011
del Domaine Rossignol Trapet, due
famiglie unitesi nel 1990 con un parco vitato di dimensioni molto ampie
distribuito tra la Côte de Nuits e la Côte de Beaune. Anche da loro nessun prodotto di
sintesi intacca le viti e alla vinificazione di grappoli diraspati segue la
malolattica spontanea; nessuna filtrazione e il 25% riposa in botti nuove.
Si presenta con chiare note
di giovinezza nel colore molto simile al precedente. Al naso risulta un po’
contratto: prevalgono i frutti di bosco, un tono umido e un sentore non proprio
elegantissimo che ha fatto pensare a più di uno che ci siano stati problemi con
microrganismi. Chissà. Al palato non esprime molto più della sua freschezza:
forse il giudizio migliora dopo qualche minuto grazie alla sapidità importante.
Un assaggio tra diversi anni gli renderebbe giustizia. Voto: 86,5.
A pochi chilometri di
distanza dal primo si trova il terzo campione della serata, uno Chambolle Musigny 2012 del Domaine Amiot Servelle, l’unico nella
zona ad essere certificato biologico, anche se, come dice l’attuale
proprietario, non servirebbe tale distinzione in quanto hanno lavorato nello
stesso modo da qualche centinaia di anni. Accuratezza e sobrietà hanno sempre
distinto questi produttori.
La vinificazione avviene in tini aperti dove
finiscono parti variabili in base alle annate di raspi interi; al solito, le
barriques nuove accolgono il 25 % dei village e poi a salire fino al 50-70% dei
cru più importanti. Il suolo calcareo e ciottoloso pensa a fare il resto.
Esuberante come gli atri nell’approccio visivo, rubino intenso ma non troppo
luminoso, svela subito un’eleganza particolare e prende le distanze dai
precedenti: i frutti rossi e i toni vegetali sono avvolgenti ma delicati. In
bocca arrivano tannini maturi, sebbene l’annata recente, la speziatura setosa e
l’immancabile freschezza. Con le note del produttore siamo in perfetto accordo
sul fatto che la frutta “ritorna” nel finale. Non ci convince del tutto il
fatto che secondo loro potrebbe migliorare invecchiando: di comune accordo lo
troviamo un vino di una bevibilità sorprendente, completo e complesso ora.
Voto: 87,5.
Al quarto assaggio arriviamo
al Vosne-Romanèe “Bossières” 2011 di
Domaine Jean Grivot. Con le redini
aziendali in mano al figlio Etienne si è potuto invertire la rotta circa le
estrazioni spinte in uso in passato e arrivare così a prodotti rappresentativi
e apprezzati per armonia e delicatezza sorretti da tannicità adeguata. Dopo
accuratissima selezione degli acini si procede con macerazione a freddo per 4-6
giorni e poi si lascia la fermentazione ai lieviti indigeni; nessuna
filtrazione ma larga attenzione alle fasi lunari e alla pressione atmosferica
per l’imbottigliamento. Nessun mezzo meccanico, solo il cavallo passa tra i
filari. Il “Bossières”, intenso nel colore non vivacissimo, rivela al naso uno
spessore maggiore: i fiori appassiti sono circondati da un senso terroso
piacevolissimo e da un bel frutto rosso maturo. Equilibrato e fine nel suo
speziato, sul palato non ci sono quei tannini un po’ in rilievo descritti in
altre degustazioni, anzi, sembra perfettamente riuscito l’obiettivo di Grivot
della “maturités fraîches”: freschezza che rimane
in perfetto equilibrio tra intensità ed eleganza. Godibile ora, forse con
margini di miglioramento nei prossimi anni. Voto: 89.
Spingendoci un po’ più a Sud
eccoci pronti per un 1er Cru della Côte
de Beaune, il Pernand-Vergelesses 1er
Cru Ile des Vergelesses 2012 di Chandon
De Briailles. Da una tradizione di famiglia che risale al 1834 si vinifica
oggi forse con pochissime differenze rispetto ad allora, seguendo il credo
biologico dagli anni novanta e successiva conversione al biodinamico nel 2008.
Utilizzo di raspi maturi ed essenzialità donano ai vini dell’azienda la purezza
tipica della zona. Il Domaine fa parte dell'associazione "Les Domaines familiaux
de Tradition” che annovera 28 domaines tra i più prestigiosi in Borgogna.
L’annata 2012 riflette la sua grande solarità in questo pinot noir che si
affaccia con note violacee, a far capire che anche lui avrà ancora da dire
qualcosa di valido tra qualche annetto, con tutto il corredo floreale-agrumato
intriso in un sentore di cuoio molto piacevole. In bocca però la delusione è
forte per un’intensità non adeguata e soprattutto un finale troppo corto per un
1er Cru. Si spera che la grande freschezza lo accompagni verso una maturità
consona al rango della denominazione e allo stile del domaine. Voto: 87.
Finiamo con un altro 1er Cru
della stessa zona, il Beaune 1er cru Les
Cent Vignes 2012 del Domaine Des
Croix.
Questo domaine è passato nel 2005 dalla famiglia Duchet in mano agli
investitori americani di Roger Forbes che hanno affidato il presente e il
futuro dell’azienda alle mani dell’enologo David Croix, giovane e di talento,
con le idee incentrate sulla realizzazione di “vini-terroir”, già conosciuto in
altre aziende dove ha saputo elevare il livello dei prodotti curati. Grandi
sono quindi le potenzialità per uno stile di vinificazione moderno che si fonde
con un passato ben solido. Les Cent Vignes 2012 si presenta con un colore rubino-violaceo
molto vivo, avvolge il naso con un fruttato di prugna intenso ed elegante che
si apre verso maggiore complessità dopo una costante ossigenazione anche se,
come faceva notare qualcuno, manca ancora la parte speziata a causa della
giovane età; al palato risulta subito suadente e di corpo ma forse con un
eccesso di morbidezza. Potrebbe avere lunga vita davanti a sé. Voto: 89.
Alla fine di questo primo
“viaggio” in Borgogna sembra difficile tirare le somme: il gusto personale, le
aspettative, lo stupore, le piccole delusioni e gli attimi di puro godimento
sono e debbono restare forse intime e personali. Diciamo che, carpendo gli
umori a giochi fatti, la maggior parte dei presenti è rimasta con la voglia di
riassaggiare il campione della zona più nota e carismatica, Vosne-Romané, che
con molta classe ha riempito le piccole lacune scovate nelle altre bottiglie.
Già, la classe. Ma il ventaglio era davvero ampio e, se qualcuno non avesse
gradito il leggero “sauvage” dei biodinamici o la morbidezza estrema del più
internazionale dei sei, credo si sia potuto rinfrancare lo spirito con la
spiccata bevibilità di Amiot Servelle.
Nonostante ciò, molto
concretamente abbiamo potuto confrontare i nostri palati con vini relativamente
giovani per i quali l’intervallo centrale della scala dell’evoluzione
“Giovane-Pronto-Maturo” resta come sospesa: poche volte capita di trovare
prodotti giovani così completi e complessi da poter essere pronti ora,
promettendo ulteriori miglioramenti in fase matura come
scommessa già vinta. I numeri si arrendono, il tempo diventa un gioco per il
vino definito da qualcuno “il fragile equilibrio fra la terra, l’uomo e il
cielo”.
Pierluigi Aielli
(Addetto Stampa CdG)
Si ringrazia per la consulenza e non solo l'amico Francesco Bisaglia (www.borgognamonamour.it).
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