domenica 7 giugno 2015

Alla scoperta della Borgogna - Cote d'Or Rouge




Questa volta all'appuntamento mensile (01/04/2015) con le degustazioni della Confraternita del Grappolo si avverte da subito che si tratterà di qualcosa di particolare: lo rivelano la puntualità degli ospiti e quella dei Confratelli, l’aria frizzante carica di aspettative, l’abbraccio caloroso per qualcuno che si era perso di vista e fogli pieni di appunti e cancellature che mostrano una dovuta preparazione.
Seguendo il proprio stile, la Confraternita affronta la prima delle serate in programma sulla Borgogna con la giusta meticolosità ma in modo ugualmente sincero e diretto: il primo contatto con l’arcinota zona avviene attraverso 6 vini che partono dall’Appelation Communale, quelli che verrebbero definiti in modo spicciolo quanto forse denigratorio “vini base”.
Questa prima fase esplorativa “a volo d’uccello” si può svolgere nello spazio di poche centinaia di ettari in un ipotetico collegamento che non supera i 50 Km sulla via che dalla periferia di Digione scende verso Lione.
Aldilà delle esperienze pregresse o del personalissimo bagaglio degustativo di ognuno di noi, ad incutere soggezione e al tempo stesso emozionare è che non solo si avrà a che fare con uno dei vitigni più particolari del pianeta ma soprattutto il fatto che l’area in esame è quella dove senza ombra di dubbio il Pinot Noir non ha eguali sul suddetto pianeta.
Da quello che riguarda le pratiche di cantina alle tecniche in vigna, dall'aura di finto torpore e di immensa tranquillità che trapela dai ricordi di chi c’è stato, alle storie di famiglie e al passare delle stagioni, qui tutto sembra armonizzato dal Tempo, signore indiscusso che ha permesso alle generazioni che hanno lavorato e creato in Borgogna di arrivare alla piena conoscenza dell’arte di fare il pinot noir. Basterebbe già questo per meritare tutto il nostro rispetto.
Rimandiamo alle letture sulla Borgogna o alle notizie disponibili sui siti delle aziende chi volesse rendersi conto dell’approccio che i francesi della zona hanno con il concetto di qualità/quantità: diciamo che 12000 piante per ettaro e 35-40 quintali di resa possono già chiarire ampiamente questo concetto.
Il Confratello Massimo Caluori fa da anfitrione e apre le danze descrivendo le zone, le denominazioni, le pratiche vitivinicole e quant'altro possa inquadrare i vini della magica Côte d’Or.

Le note di degustazione a seguito riportate sono un’estrema sintesi delle parole dette, di quelle non dette, di quelle sussurrate al vicino e delle espressioni facciali dei confratelli e degli ospiti presenti.

Il nostro viaggio (da fermi!) di questa sera parte dalle “Hautes Côtes”, le colline sui 300 metri che dominano la più blasonata Côte d’Or, con Hautes Côte de Beaune Orchis Mascula 2012 del Domaine Henri Naudin Ferrand, punto di riferimento assoluto in questa zona. L’azienda, pur non avendo alcuna certificazione in merito, è gestita da sempre con concezione bio; per la vinificazione vengono utilizzate bassissime quantità di solforosa nella fermentazione a grappolo intero.




Nel bicchiere questo 2012 rivela ovviamente la sua giovinezza nei toni vispi rubino/violacei; saltano fuori i sentori floreali molto delicati accompagnati e forse subito dopo sormontati dalle sensazioni foxy (quel tocco “sauvage” magari più gradevole in vini più elevati nel tempo). Altri hanno apprezzato le note di moka e soprattutto di frutta rossa ben delineate. In bocca la persistenza non è notevole e malgrado torni quella tostatura molto presente, dovuta secondo alcuni all’utilizzo delle barriques nuove, spicca la freschezza: una bella acidità bilanciata che fa ben sperare in un miglioramento tra qualche annetto. Voto (del nostro enologo di riferimento): 86,5.

Il secondo calice contiene Gevrey Chambertin vieilles vignes 2011 del Domaine Rossignol Trapet, due famiglie unitesi nel 1990 con un parco vitato di dimensioni molto ampie distribuito tra la Côte de Nuits e la Côte de Beaune. Anche da loro nessun prodotto di sintesi intacca le viti e alla vinificazione di grappoli diraspati segue la malolattica spontanea; nessuna filtrazione e il 25% riposa in botti nuove.

Si presenta con chiare note di giovinezza nel colore molto simile al precedente. Al naso risulta un po’ contratto: prevalgono i frutti di bosco, un tono umido e un sentore non proprio elegantissimo che ha fatto pensare a più di uno che ci siano stati problemi con microrganismi. Chissà. Al palato non esprime molto più della sua freschezza: forse il giudizio migliora dopo qualche minuto grazie alla sapidità importante. Un assaggio tra diversi anni gli renderebbe giustizia. Voto: 86,5.

A pochi chilometri di distanza dal primo si trova il terzo campione della serata, uno Chambolle Musigny 2012 del Domaine Amiot Servelle, l’unico nella zona ad essere certificato biologico, anche se, come dice l’attuale proprietario, non servirebbe tale distinzione in quanto hanno lavorato nello stesso modo da qualche centinaia di anni. Accuratezza e sobrietà hanno sempre distinto questi produttori. 



La vinificazione avviene in tini aperti dove finiscono parti variabili in base alle annate di raspi interi; al solito, le barriques nuove accolgono il 25 % dei village e poi a salire fino al 50-70% dei cru più importanti. Il suolo calcareo e ciottoloso pensa a fare il resto. Esuberante come gli atri nell’approccio visivo, rubino intenso ma non troppo luminoso, svela subito un’eleganza particolare e prende le distanze dai precedenti: i frutti rossi e i toni vegetali sono avvolgenti ma delicati. In bocca arrivano tannini maturi, sebbene l’annata recente, la speziatura setosa e l’immancabile freschezza. Con le note del produttore siamo in perfetto accordo sul fatto che la frutta “ritorna” nel finale. Non ci convince del tutto il fatto che secondo loro potrebbe migliorare invecchiando: di comune accordo lo troviamo un vino di una bevibilità sorprendente, completo e complesso ora. Voto: 87,5.


Al quarto assaggio arriviamo al Vosne-Romanèe “Bossières” 2011 di Domaine Jean Grivot. Con le redini aziendali in mano al figlio Etienne si è potuto invertire la rotta circa le estrazioni spinte in uso in passato e arrivare così a prodotti rappresentativi e apprezzati per armonia e delicatezza sorretti da tannicità adeguata. Dopo accuratissima selezione degli acini si procede con macerazione a freddo per 4-6 giorni e poi si lascia la fermentazione ai lieviti indigeni; nessuna filtrazione ma larga attenzione alle fasi lunari e alla pressione atmosferica per l’imbottigliamento. Nessun mezzo meccanico, solo il cavallo passa tra i filari. Il “Bossières”, intenso nel colore non vivacissimo, rivela al naso uno spessore maggiore: i fiori appassiti sono circondati da un senso terroso piacevolissimo e da un bel frutto rosso maturo. Equilibrato e fine nel suo speziato, sul palato non ci sono quei tannini un po’ in rilievo descritti in altre degustazioni, anzi, sembra perfettamente riuscito l’obiettivo di Grivot della “maturités fraîches”: freschezza che rimane in perfetto equilibrio tra intensità ed eleganza. Godibile ora, forse con margini di miglioramento nei prossimi anni. Voto: 89.

Spingendoci un po’ più a Sud eccoci pronti per un 1er Cru della Côte de Beaune, il Pernand-Vergelesses 1er Cru Ile des Vergelesses 2012 di Chandon De Briailles. Da una tradizione di famiglia che risale al 1834 si vinifica oggi forse con pochissime differenze rispetto ad allora, seguendo il credo biologico dagli anni novanta e successiva conversione al biodinamico nel 2008.



Utilizzo di raspi maturi ed essenzialità donano ai vini dell’azienda la purezza tipica della zona. Il Domaine fa parte dell'associazione "Les Domaines familiaux de Tradition” che annovera 28 domaines tra i più prestigiosi in Borgogna. L’annata 2012 riflette la sua grande solarità in questo pinot noir che si affaccia con note violacee, a far capire che anche lui avrà ancora da dire qualcosa di valido tra qualche annetto, con tutto il corredo floreale-agrumato intriso in un sentore di cuoio molto piacevole. In bocca però la delusione è forte per un’intensità non adeguata e soprattutto un finale troppo corto per un 1er Cru. Si spera che la grande freschezza lo accompagni verso una maturità consona al rango della denominazione e allo stile del domaine. Voto: 87.

Finiamo con un altro 1er Cru della stessa zona, il Beaune 1er cru Les Cent Vignes 2012 del Domaine Des Croix



Questo domaine è passato nel 2005 dalla famiglia Duchet in mano agli investitori americani di Roger Forbes che hanno affidato il presente e il futuro dell’azienda alle mani dell’enologo David Croix, giovane e di talento, con le idee incentrate sulla realizzazione di “vini-terroir”, già conosciuto in altre aziende dove ha saputo elevare il livello dei prodotti curati. Grandi sono quindi le potenzialità per uno stile di vinificazione moderno che si fonde con un passato ben solido. Les Cent Vignes 2012 si presenta con un colore rubino-violaceo molto vivo, avvolge il naso con un fruttato di prugna intenso ed elegante che si apre verso maggiore complessità dopo una costante ossigenazione anche se, come faceva notare qualcuno, manca ancora la parte speziata a causa della giovane età; al palato risulta subito suadente e di corpo ma forse con un eccesso di morbidezza. Potrebbe avere lunga vita davanti a sé. Voto: 89.

Alla fine di questo primo “viaggio” in Borgogna sembra difficile tirare le somme: il gusto personale, le aspettative, lo stupore, le piccole delusioni e gli attimi di puro godimento sono e debbono restare forse intime e personali. Diciamo che, carpendo gli umori a giochi fatti, la maggior parte dei presenti è rimasta con la voglia di riassaggiare il campione della zona più nota e carismatica, Vosne-Romané, che con molta classe ha riempito le piccole lacune scovate nelle altre bottiglie. Già, la classe. Ma il ventaglio era davvero ampio e, se qualcuno non avesse gradito il leggero “sauvage” dei biodinamici o la morbidezza estrema del più internazionale dei sei, credo si sia potuto rinfrancare lo spirito con la spiccata bevibilità di Amiot Servelle.
Nonostante ciò, molto concretamente abbiamo potuto confrontare i nostri palati con vini relativamente giovani per i quali l’intervallo centrale della scala dell’evoluzione “Giovane-Pronto-Maturo” resta come sospesa: poche volte capita di trovare prodotti giovani così completi e complessi da poter essere pronti ora, promettendo ulteriori miglioramenti in fase matura come scommessa già vinta. I numeri si arrendono, il tempo diventa un gioco per il vino definito da qualcuno “il fragile equilibrio fra la terra, l’uomo e il cielo”.

Pierluigi Aielli
(Addetto Stampa CdG)


Si ringrazia per la consulenza e non solo l'amico Francesco Bisaglia (www.borgognamonamour.it).

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