La Grande Borgogna
Degustazione CdG - 26/11/2015
Visto l’apprezzamento
caloroso rivolto alla Confraternita del Grappolo da quanti furono presenti alla
prima degustazione dei rossi di Borgogna, il nostro gruppo di amici non poteva
esimersi dal proseguire e quindi approfondire quanto anticipato sul Pinot Noir.
Ebbene questa sera si sale di livello e sulla cattedra siederà, coadiuvato dai
confratelli Massimo Di Cintio e Massimo Caluori, il nostro enologo di
riferimento Riccardo Brighigna.
L’attenzione è subito
focalizzata sul territorio in esame: si richiamano alla mente le denominazioni
e con l’aiuto delle mappe proiettate si scende sempre più nel particolare per
toccare da vicino le innumerevoli sfaccettature che questi posti mitici
regalano all'osservatore attento.
Tra i cinquanta chilometri
che scorrono silenziosi a sud di Digione sorgono i dolci pendii appena
pronunciati che dividono le Appellations base dei comuni che costeggiano la
strada nazionale da quelle delle Haute Cotes poste più in alto verso i boschi e
si riservano il pregio di contenere la massima espressione enoica della regione.
Le tecniche in vigna sono sempre rispettose del terroir e ne caratterizzano
l’impronta volta al biologico e alla tutela ambientale. In cantina regnano i
lieviti indigeni affiancati dalla mano dell’uomo sempre poco invadente che
segue riti naturali e consolidati da generazioni tali da non omologare i
prodotti che quella preziosa terra regala da sempre.
Andiamo a scoprire i
Premier Cru e i Grand Cru selezionati per questa serata aprendo le porte dei
sensi e la condivisione delle emozioni.
La batteria dei cinque
calici percorre la “Strada dei Grandi Vini” e apre con Gevrey Chambertin 1er cru Clos Prieur 2012 di Rossignol Trapet.
Le due famiglie, unite dal 1990, gestiscono
insieme una superficie vitata di 14 ettari, enorme se si pensa all'estensione
media dei preziosi fazzoletti della zona, frazionati in diverse AOC. Il domaine
persegue la biodinamica in vigna dal 1997: non vengono praticati diserbi e non
vengono utilizzati prodotti di sintesi e i terreni con circa 12 mila ceppi per ettaro sono
irrorati solamente con composti naturali. La vinificazione è a fermentazione
controllata con totale diraspamento e malolattica spontanea; nessuna chiarifica
o filtrazione e limitati anche travasi e batonnage. L’affinamento è tipicamente
previsto per 14-18 mesi in legno nuovo con percentuali che vanno da un 25% (per
i Village) ad un massimo del 50% per i Grand Crus.
Il vino appare limpido e
rubino intenso e apre il ventaglio odoroso con fruttato deciso di lamponi e
fragole mature mantenendo austerità sul floreale di viola sorretto da sentore
terroso e speziato leggero. La vena minerale è arricchita da tannini vigorosi
per la tipologia che qualcuno in sala definisce “nervosi”. La persistenza in
bocca esalta la dote di equilibrio e il vino risuona nel fruttato elegante.
Il secondo calice contiene il Vosne Romanèe 1er cru Les Chaumes 2011 di Jean Grivot.
Questo domain, che già abbiamo conosciuto nella
passata degustazione, rappresenta perfettamente lo stile della zona e mira ad armonizzare la delicatezza della trama
estrattiva senza rinunciare alla vigorìa tannica trovando maggior equilibrio
espressivo negli ultimi anni nel coniugare tradizione e modernità in modo
esemplare.
Il domaine vinifica mediante una
diraspatura che arriva al 95% ed una severissima selezione degli acini. Viene
praticata una breve macerazione a freddo di 4-6 giorni prima della
fermentazione, attivata esclusivamente mediante l’utilizzo di lieviti indigeni
e la macerazione viene protratta mediamente per 15-17 giorni. La maturazione in
barrique nuove dell’Allier dura 18 mesi e la percentuale di legno nuovo è
variabile: dal 25% per i village, tra il 30 ed il 60% per i premier cru e fino
al 70% per i grand cru. Non viene praticata alcuna filtrazione o chiarifica
prima dell’imbottigliamento, in simbiosi con le diverse fasi lunari e le
condizioni di pressione atmosferica. L’età minima del parco vitato a disposizione
è quarantennale e il sesto di impianto è di undici mila ceppi per ettaro.
L’apporto di fertilizzanti organici in vigna è minimale e si fa ampio uso del
cavallo.
La parcella di Grivot di questo
celebre climat è di soli 0,15 ettari e ne scaturisce un vino spiccatamente
raffinato ed elegante. Naso e bocca molto coerenti che si sintonizzano sul
fruttato di piccoli frutti rossi e floreale di viola; l’equilibrio convince con
tannini adeguati e la persistenza piena e gradevolissima.
Il terzo calice contiene il Corton
Le Rognet Grand cru 2010 di
Bruno Clavelier.
In questa denominazione nota maggiormente per i grandi bianchi di Chardonnay, il nome di Clavelier è da sempre il baluardo dei vigneron bio e biodinamici: vanta infatti il felice primato di non risentire di fertilizzanti chimici sin dalla fine degli anni ’70 e con rese molto ridotte favoriscono al massimo la qualità eccezionale della materia prima, valorizzata anche dalle ricchezze minerali del sottosuolo dei climats. La vinificazione avviene in tini di rovere troncoconici e la fermentazione è opera esclusiva dei lieviti indigeni per circa tre settimane, durante le quali vengono praticate morbide follature manuali. Dopo il naturale assestamento post-fermentativo, i vini vengono posti nelle botti piccole in cui svolgono la malolattica in modo del tutto naturale. L’elevage avviene per 16-18 mesi in botti piccole di rovere francese (Troncais, Allier). La percentuale di legno nuovo è di circa un terzo per i Premier cru e per i Grand cru, un po' meno per le denominazioni Village. I vini, infine, non subiscono alcuna chiarifica o filtrazione: i periodi per l’imbottigliamento vengono scelti nel rispetto del calendario lunare e delle condizioni meteorologiche.
Il vino
in degustazione arriva da un climat magnifico ad un’altitudine di 250 metri
circa, su di un suolo che custodisce una vena di mineralità straordinaria. Alla
prima olfazione si viene trasportati dalla soavità di pesca matura, fichi e
frutta candita, con note affumicate e quella vena minerale lunghissima. La
freschezza bilanciata invita al sorso mentre la persistenza e la complessità
alla meditazione.
Come
quarto vino viene presentato Clos de la
Roche Grand Cru 2010 di Chantal Remy.
Le vicissitudini familiari e la spartizione dei possedimenti con gli altri due
fratelli hanno avvantaggiato Chantal Remy facendogli perdere le vigne
dell’Appellation Village e lasciandogli in eredità solo piccole frazioni per un
totale di un ettaro e mezzo ma tutte classificate come Grand Cru. Portando
avanti la tradizione e la maestria del padre Louis scomparso nel 1982, Chantal
vinifica nel totale rispetto delle usanze borgognone con grappoli parzialmente diraspati
lasciati fermentare per 15 giorni ad una temperatura di massimo 32 gradi,
ottenendo vini senza tempo esponenti del terroir.
Il
prodotto in degustazione arriva dalla vigna più rinomata del comune di Morey
St. Denis situata su calcari pietrosi e poco profondi estesa per 16 ettari.
Chantal Remy ne possiede poco più di mezzo ettaro e ne trae un vino tonico al
sorso, avvolgente, morbido e godibile. Il fruttato intenso e fine di piccoli
frutti rossi è inframezzato da bergamotto e cassis che ne slanciano la
freschezza; l’austerità che arriverà col tempo è preannunciata da intriganti
note eteree di smalto. La vera magia sta comunque nel riuscire a contenere de
doti migliori dalle due zone di confine: i tannini decisi e bilanciati di
Gevrey Chambertin e la morbidezza vellutata di Morey St. Denis. Grande
longevità ci si aspetta e si spera di risentirlo tra qualche anno.
Nel
quinto ed ultimo calice ci aspetta il Nuits
Saint Georges 1er cru Aux Boudots 2006 di Jean Grivot.
Dallo
stesso produttore del secondo vino degustiamo un’altra produzione ottenuta da
un vigneto separato da un muretto a secco dalla rinomatissima Vosne-Romanèe di
cui sopra. A questa Appellation tra le più vigorose, Grivot riesce a conferire
eleganza e raffinatezza distintive: il “sauvage” tipico lascia spazio a frutti
di bosco, erbe aromatiche e mineralità entusiasmante. Al palato è ancora meglio
e convince con una beva piacevolissima dove si alternano sensazioni di
freschezza e sapidità sorrette da tannini ben definiti. Il finale lungo impone
un ricordo nobile di raffinata eleganza.
Esperienza
succosa stasera, guidati magistralmente verso sorprese che rimangono nel nostro
bagaglio: la zona dominata dallo Chardonnay che regala splendidi Pinot Noir e
le piccole vigne attigue ai maggiori blasoni che offrono chicche altrimenti
coperte dall'ombra del grande vicino. Nell'eco del precedente incontro con i
rossi “minori” di Borgogna le attese vengono premiate e non si è corso il
rischio di disillusione che poteva attenderci dietro l’angolo. Ma appunto
dietro l’angolo del muretto a secco abbiamo potuto ritrovare il sottile fil
rouge che mette in contatto tradizioni apparentemente simili così lontane nel
gusto, vigne a pochi metri di distanza che nascondono, e svelano poi, universi
sensoriali definiti e distanti.
Pierluigi Aielli
(Addetto Stampa CdG)
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