giovedì 20 aprile 2017

IL LAZIO DA (RI)SCOPRIRE - 02/12/2016

IL LAZIO DA (RI)SCOPRIRE con Lorenzo Costantini


Un invito sincero di qualche tempo fa si concretizza oggi e onora la promessa con cui venne accolto: è tornato a trovarci dopo un annetto Lorenzo Costantini, l’enologo laziale conosciuto nella degustazione dei vini di Filomusi Guelfi, la cantina abruzzese dove lavora da anni.


Apparentemente schivo e taciturno, Costantini è una persona concreta e un professionista preparato venuto per parlarci con vero trasporto della sua terra e dei prodotti che ne caratterizzano la grande peculiarità.

Ci racconta come nel secondo dopoguerra anche il Lazio, come altre regioni del sud, cedette alla tentazione delle grosse rese e si diffusero presto gli allevamenti a tendone, pronti ad accontentare la richiesta della vicina Roma sempre più popolosa. Tradizioni di viticoltura millenarie lasciarono il posto a cantine sociali e cooperative moderne e adatte alla produzione di vino di bassa qualità in maniera massiva.
Negli anni ottanta la crisi dettò una nuova inversione di tendenza, fortunatamente per noi appassionati e per chi in quei luoghi lavora oggi per la produzione di qualità, e riportò indietro nel tempo la folle corsa di questa industria del vinello, così che mano a mano sempre più produttori scelsero di tornare a fare agricoltura. Rimettersi in gioco e riscoprire un territorio vocato e a tratti unico, dimenticato per troppo tempo, fu un atto di coraggio che oggi rivendica giustamente un posto d’onore nel panorama del vino italiano e nel mercato che va oltre i confini regionali.


I vini in degustazione questa sera arrivano dal sud di Roma, da realtà più o meno piccole che si distribuiscono alle pendici dei monti Lepini e dei monti Erici; qui l’enologia diventa a tratti eroica, in zone impervie e a quote importanti su terreni con fitte sedimentazioni vulcaniche, dandoci già l’idea di rese molto basse e tipicità intense da ritrovare nei calici.


Tre sono le aree scelte da Costantini: la zona di Cori per il Nero Buono, Olevano e Piglio per il Cesanese, facendo a meno del già più noto Cesanese di Affile.
Il Nero Buono, antico parente del Montepulciano d’Abruzzo dal DNA comune, è un vitigno poco noto, di grossa carica tannica, da cui si ottengono vini schietti, usato in passato anche come rinforzo per vini carenti in robustezza.
A Olevano invece, la qualità del vino rosso era nota già ai tempi di Plinio e per la Capitale è sempre stato di riferimento, come i bianchi dei Castelli. Oggi le piccole realtà che lavorano duramente su queste colline calcareo-marnose ricercano quell'identità altrimenti perduta.
Fino a venti anni fa il Piglio era ridotto a pochi produttori che conferivano interamente le uve alle cantine sociali. Il grande reset operato negli ultimi anni ha permesso di puntare alla qualità in una zona dove il lavoro in vigna si fa duro: colline eterogenee con argille rosse cariche di ferro e alluminio arrivate dall'erosione dei monti Erici con strati scuri di pomice vulcanica, dove le rese sono sempre basse e le piogge molto frequenti.


Quindi dalle pendici di una antica area vulcanica che rivolge lo sguardo al vicino Tirreno, andiamo a scoprire i dieci vini laziali di questa serata.



Cincinnato “Polluce” Nero Buono 2015
Rubino molto intenso, si presenta serrato al naso e lascia scoprire il sentore di piccoli frutti rossi. La vena fresca promette miglioramenti verso un equilibrio che per ora manca, ma i tannini vivi sostengono la beva e accompagnano un finale lodevolmente non amaro che ne amplifica la piacevolezza.


  
Pietra Pinta “Nero Buono” Lazio IGT 2014
Questo Nero Buono in purezza sorprende per la maggiore complessità olfattiva che, su un fondo vegetale/minerale che ricorda l’edera, arriva al frutto rosso maturo contornato dallo speziato che sa di alloro, rivelando forse anche la parentela con il nostro Montepulciano. Fresco e giovane anche nel retronasale, tannico da giocare bene a tavola affiancandolo a carni e piatti strutturati.


























Marco Carpineti “Capolemole” IGP Lazio Rosso 2014
Agricoltura biologica e vecchia tradizione di blend ci presentano oggi questo rosso interessante, figlio anche della sperimentazione nell’affinamento in legno. La ricca componente fruttata di amarena matura è ben appaiata al floreale fresco di rosa e il carattere elegante si ritrova poi anche nei tannini già levigati. Un vino equilibrato già ora.

























Damiano Ciolli “Silene” Olevano Romano Superiore 2015
La linea produttiva di Damiano Ciolli insegue da sempre l’eleganza e la finezza riscontrabili immediatamente dalle tinte scariche del colore; la scelta estrattiva segue l’ispirazione quasi borgognona e dona a questo vino non filtrato un soffio di spezie dolci, uva fragola e geranio davvero speciale. Il timbro minerale e la freschezza piena offrono un sorso su cui tornare. Bevibilità e finezza a braccetto. E pensare che si tratta della linea base.


Az. Agr. Proietti “Vignalibus” Cesanese Olevano Romano Superiore 2014
Modernità, nella tecnica e anche nella personalità, è la parola che meglio riassume questo vino: aspetto luminoso con lo speziato anche comune agli altri ma accattivante, che sovrasta un substrato minerale terroso. In bocca è centrato sul frutto con toni retronasali di buona sapidità e freschezza. Interessante l’evoluzione nei prossimi anni.


























Az. Agr. Villa Simone “Cesanese del Piglio” Docg 2015
Un po’ sfuggente sulle prime olfazioni, questo Cesanese si apre pian piano su idee fruttate di ciliegia e resta croccante anche nel sorso. Uno stile moderno che strizza l’occhio alla bevibilità per un vino pronto e dritto, giustamente fresco e compagno ideale della tavola imbandita.

























Casale della Ioria “Cesanese del Piglio Superiore” Docg 2015
Tornano i sentori fini in questo calice dove troviamo tratti da internazionale, con la foglia di pomodoro che segue la scia di un delicato agrume. Pieno e già morbido all’assaggio con aspirazione all’eleganza che qualcuno in sala definisce “piacione”, ma assolutamente fine. Da risentire tra qualche anno.

 






















Az. Agr. Coletti Conti “Hernicus” Cesanese del Piglio Superiore Docg 2014
Una marcia in più per questo prodotto che stupisce da subito per i sentori fini e precisi che rendono interessantissimo il primo approccio: ritornano sì le spezie dolci e il floreale di geranio ma avvolti da una balsamicità rinfrescante degna di nota. Il frutto succoso sul palato porta alla mente un gusto di Borgogna, con i tannini lievi ma tesi e la freschezza bilanciata. Completo e senza difetti.

























Corte dei Papi “San Magno” Cesanese del Piglio Docg 2014
E’ questo il primo vino dove l’impatto dei terziari da legno governano le sensazioni: si parte dalla spezia vanigliata per arrivare alla fine al tabacco, sopra velati ricordi di fumo. Più concreto sul palato dove risalta la frutta in confettura avvertita anche al naso e la buona sapidità da ricercare dietro la ventata alcolica.






Vigneti Massimi Berucci “Cesanese del Piglio Riserva” Docg 2012
L’ultimo della batteria gioca un’apparente semplicità e spinge al ragionamento: nel quadro aromatico il floreale secco e la prugna matura con fondo di umami non rispondono all’equilibrio offerto dall’erbaceo inatteso. In bocca il ritmo dolce è guidato dalla morbidezza glicerica e dall’alcol forse troppo in evidenza; segni di maturità precoce non ci fanno immaginare grandi affinamenti in bottiglia. Chissà.


 

























Salutiamo con affetto Lorenzo Costantini stringendo la sua mano segnata dal lavoro, che ben rappresenta tutta la sua passione e la dedizione totale ad una vera e propria arte.

























Ci congediamo ripensando alla frase di uno dei più anziani della Confraternita che riassume al meglio la degustazione, dicendo “Sono tutti buoni”. Non male per una batteria di dieci calici.

























Pierluigi Aielli
(Addetto Stampa CdG)


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