giovedì 1 ottobre 2015

La Verticale di ALTARE - Trebbiano d'Abruzzo DOC


Dopo le interessantissime serate dedicate alle prime due degustazioni dei vini di Borgogna, la Confraternita del Grappolo torna a trattare prodotti del territorio di appartenenza invitando una tra le più note aziende della regione: pronti a raccontarci la loro esperienza e aperti alla nostra sete di curiosità sono intervenuti Enrico Marramiero, titolare dell’azienda omonima, e l’enologo Romeo Taraborrelli. 
Moderatore della serata c'era il giornalista enogastronomo Massimo di Cintio.


I vini prodotti dalle grandi aziende che dominano il mercato possono talvolta passare inosservati ad una fetta di appassionati e addetti ai lavori o ancora, risultare a priori poco interessanti e poco innovativi rispetto alle proposte dalle piccole realtà emergenti, che negli ultimi anni stanno svolgendo un lavoro interessantissimo nella nostra regione e non solo.
Invece le aspettative e la curiosità sono state ripagate appieno da una tipologia di prodotto che raramente può capitare sotto mano, o meglio, sotto al naso: un Trebbiano d’Abruzzo con qualche decennio sulle spalle.
Infatti il principe della serata è “Altare”, un Trebbiano creato quasi come esperimento, come ci ha raccontato Taraborelli, che però dimostrò già dai primi anni di affinamento di poter guardare ancora molto in là nel tempo.  E’ questo il primo vino dell’azienda a rientrare nella categoria dei bianchi fermentati in barriques nuove a contatto con le bucce: l’enologo esprime la filosofia adottata con la frase “attaccare l’acino”, ossia ottenere il massimo dell’estratto dalle bucce. Il periodo di tempo della permanenza in quella fase non è stato ben definito in partenza e si è lasciata la massima libertà di decisione conseguentemente agli assaggi in cantina che svelavano il percorso del vino. I nostri ospiti hanno tenuto a precisare quanto sia più semplice seguire un bianco del genere rispetto ad un vino rosso: quest’ultimo, se rivela in botte di non avere le caratteristiche per resistere al tempo e migliorare, precipita irrimediabilmente e quasi improvvisamente verso livelli più bassi di qualità. I bianchi mostrano una sorta di tenacia diversa, avendo una “fine” più lenta e graduale, rispettando quasi sempre la fiducia nel miglioramento che viene dato loro.
Questa versatilità ha permesso di anno in anno di fare la scelta più appropriata: il Trebbiano delle ultime annate (2010 e 2012) ha trascorso ben due anni sulle sue bucce.
Ecco qualche impressione carpita dall’aria attenta della sala.


 2012
Il vino si presenta vestito di un bel giallo dorato, leggero e molto luminoso; l’intensità al naso è pervasa da frutta gialla e albicocca essiccata con un leggero agrumato sul fondo; si apprezza la finezza e l’eleganza del mix di toni morbidi di miele con una fresca balsamicità di incenso. Al palato è esuberante con la sua grande intensità e la sua attesa freschezza. Qualche nota minerale risuona sul legno, presente ma non prevaricante.
2010
Il giallo dorato è intenso e accompagnato da una spiccante limpidezza. Appaiono al naso le stesse note dolci apprezzate nel vino precedente ma con meno sfaccettature vegetali; predomina una nota di confetto che alla lunga forse stanca. Sul palato è forte la sensazione alcolica quasi quanto quella della freschezza decisa; non spicca però la lunghezza. Bisognerà attendere qualche annetto? Vedremo.


2007
Figlio di un’annata caldissima e con forti piogge, appare in un giallo dorato tenue e limpido. Si apre lentamente con note dapprima fruttate di pesca gialla e mango e poi vira su toni intensi di zafferano e fieno. In bocca è fine: dritto nella sua freschezza non eccessiva che accompagna la godibilità del sorso.


2001
Questo è il primo vino che divide la platea in quanto le bottiglie per la mescita si rivelano antitetiche: accomunate da un giallo dorato/ambrato si differenziano sia al naso che nel cavo orale. In un bicchiere troviamo note olfattive quasi da vino dolce e in quello affianco sfumature mentolate e di liquirizia. All’assaggio, l’uno più morbido e l’altro più fresco e minerale, si ritrovano nel comune piacevole sentore di zucchero filato (nota dell’enologo).

2000
Alla vista si continua con l’intensità del giallo appena ambrato e limpido ma subito all’olfazione sembra un po’ stanco: non intenso come i precedenti, apprezzabili alcune lievi note di zolfo ben equilibrate dall’erbaceo all’inizio in ombra. In bocca è meno caldo ma più avvolgente con una tipica nota mandorlata sul finale. A detta dell’enologo potrà esprimersi al meglio tra qualche anno.


1999
Questo è il primo campione che sembra rivelare quasi un cambiamento di stile. Ambrato leggero si rivela pieno di sorprese: il fruttato/floreale avvertito nei primi vini è sorretto da note di erba falciata e sentori tostati di caffè. Al palato svetta per il suo equilibrio: intenso, pronto e godibile, con la presenza fine del legno.


1997
In questo vino l’ossidazione si impone e domina alla vista e all’olfatto;  la freschezza residua comunque sorregge il timbro mieloso e morbido con lievi sentori di idrocarburi e arancia amara. E’ un vino che ha dato il meglio di sé qualche anno fa’ pur essendo ancora molto interessante, con un finale delicato a sorpresa.


1994
Alla fine della serie non poteva mancare una risonante conclusione. Il colore lievemente ambrato riluce splendidamente e avvicinandolo al naso si capisce che sono bandite le banalità: note di torba lievi e fumose miste a floreale finissimo precedono i sentori inebrianti di idrocarburi. Qualcuno lo definisce a ragione “tedesco”. Al sorso è esplosivo con un nerbo incredibile di bella acidità. Un equilibrio (ri)trovato dopo un paio di decenni. Da ricordare sicuramente.

Gli ospiti ci hanno anche voluto omaggiare con due chicche prodotte dall’azienda: la prima è il vino cotto “Livia”, un prodotto che ricalca le vecchissime tradizioni dei paesini del nostro entroterra, dove i contadini serbavano un nettare concentratissimo e delizioso prodotto dalla cottura del mosto, posto poi ad invecchiare nella botte di famiglia che raccoglieva parte delle annate precedenti. Intenso nelle sue note tostate di confettura e caramello, lo abbiamo abbinato alla pasticceria secca fatta per l’occasione da mani amiche espertissime; chissà come andrebbe su un formaggio erborinato? Da provare.























Il secondo prodotto è una acquavite di vinacce di uve Montepulciano d’Abruzzo: morbida anche se un po’ troppo irruenta sui toni erbacei che risalgono per via retronasale. 

L’enologo Taraborrelli ci ha fatto notare come si riconosca il timbro del Montepulciano, appena svanito l’impatto alcolico.


La serata si conclude e ci riporta alla mente le altre occasioni in cui i vini bianchi ci hanno fatto cambiare idea sulla longevità e sulla qualità nell’affinamento in legno. 
A tale proposito, citando Giuliano Bellicoso (Presidente del Comitato Tecnico di Degustazione della Confraternita), si potrebbe dire che: “Alla cieca nessuno avrebbe dato venti anni ad alcuni di questi vini. E siamo sempre più convinti che non esista un solo Trebbiano d’Abruzzo ma mille validissime esperienze diverse, espressioni di un territorio unico e allo stesso tempo ricco di perle da scoprire”.


Tirando le somme, siamo ben lieti di aver avuto una piacevolissima sorpresa, mettendo da parte i pregiudizi e le simpatie personali che talvolta ci spingono verso un’incauta esterofilia o, peggio, sete di estremizzazioni finto rivoluzionarie.

Pierluigi Aielli
(Addetto Stampa CdG)



L'album fotografico della serata è visionabile al seguente link




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