giovedì 1 settembre 2016

Vallerosa Bonci: in azienda con il produttore del Verdicchio

Vallerosa Bonci: in azienda con il produttore del Verdicchio

In previsione della degustazione sul Verdicchio, una piccola delegazione della Confraternita del Grappolo decide giustamente di raggiungere le vicine colline marchigiane per andare a conoscere uno dei produttori storici di quel territorio. Aldo conosce la strada, Gianpiero sistema la sua macchina fotografica e dopo un breve tratto di A14 ci ritroviamo immersi nelle colline vitate dei mitici Castelli di Jesi in una calda giornata di primavera.


Giuseppe Bonci, alla guida dell’azienda familiare per la terza generazione, ci attende  a Cupramontana sul piazzale assolato antistante la cantina e ci accoglie all’ombra e al fresco dell’interno.


Alcuni operai sono alle prese con l’imbottigliamento di una delle linee base mentre curiosando ci affacciamo su un balcone che offre una splendida vista sui filari dal retro della costruzione:


questa, appoggiata sul fianco della collinetta, si sviluppa verso il basso e da quello che poteva sembrare un magazzino sul piano terra si accede scendendo nel cuore vero della cantina. Le gigantesche vasche in cemento ora in disuso sono la testimonianza di quello che era il Verdicchio fino a pochi lustri fa: l’inversione di tendenza che ha portato verso la qualità abbandonando la quantità è ben rappresentata da questo vecchio impianto capace di produrre dieci volte tanto quella che è la produzione attuale. Al piano inferiore le nuove vasche in cemento e in acciaio prendono parte alla creazione di quel grande bianco che oggi conosciamo.


Risalendo dalla cantina, Giuseppe Bonci risponde garbatamente al bombardamento di domande circa impianti, vinificazione, rese, terreni e quant’altro ci venga in mente vista la sua immensa disponibilità: è un uomo pacato e gentile, che parla il giusto, quando serve.


Anche quando gli chiedo, forse ingenuamente, se tutte le vigne di fronte a noi fossero di Verdicchio e se non avesse la tentazione di impiantare altro su terreni ottimi anche per i rossi, risponde sorridendo “E perché?” con tono affettuoso e sincero. Questa è la concretezza e la determinazione di chi sa fare un mestiere ed è fiero del suo territorio. Poche chiacchiere.


Il grande tavolo per le degustazioni ci aspetta all’ingresso dell’azienda e questa è la carrellata di assaggi proposti dal vignaiolo di Cupramontana:


Viatorre 2014
Molto limpido su tono verdolino, sincero sul floreale bianco e sul tenue fruttato di pesca e mela. Grande freschezza che mitiga i 13 gradi e il finale lievemente amarognolo. Buona la mineralità e sorprendente la persistenza per un vino base.


Manciano 2014
Dalla contrada che porta il suo nome arrivano le uve ben mature per questa linea. Il colore diventa più intenso e vira sul paglierino pieno e anche al naso risulta completamente diverso dal precedente: il fruttato è ora giallo e maturo su idee tropicali mentre alla distanza emergono note non proprio brillanti vegetali che ricordano il cardo. La grafite segna il passo della grande mineralità ma la delusione arriva alla fine su una persistenza che svanisce troppo presto, come una promessa mancata. Un’annata strana.



San Michele 2013 – Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore
La musica cambia registro e finalmente troviamo i segni del terroir dalla contrada San Michele, a 400 metri esposta a Sud, dove si alleva questo “cru”: il colore brillante accompagna l’atteso sentore di anice ed un fresco mentolato che fanno da apertura alla mineralità gessosa. Definito “un bambino” proprio da Giuseppe Bonci, scalpita con una freschezza agrumata che verrà domata dal tempo e che consentirà grandi miglioramenti. Già ora pieno e persistente, con un finale delizioso di mandorla. Da mettere sotto chiave.


Le case 2009 – Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore
Un altro cambio di direzione ci attende nel calice affrontando questa selezione di uve che fa un passaggio in barrique per il 20%. Nel colore ricorda il Viatorre ma se ne discosta completamente da naso e bocca: l’impronta del vanigliato del legno è molto presente e confonde anche il palato, avvolto da toni troppo morbidi e molli che fanno perdere le parti dure e snelle del vigore del vitigno. Ora comprendiamo meglio l’affermazione del Bonci di poco prima quando disse che se cominciasse oggi a vinificare utilizzerebbe solo l’acciaio. Parole sante.


San Michele 2000 – Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore
Il padrone di casa fa presto a farsi perdonare e stappa una delle 300 o 400 bottiglie “nascoste” di questa linea. Nel colore questo vino diventa più intenso ma non perde la lucentezza e svela tutto anche senza doverlo aspettare: ecco l’eleganza di un grande bianco che pur avendo i muscoli avvolge l’olfatto con complessità ed eleganza su toni che vanno dalla cipria alla mela cotogna e ai canditi, dal confetto si arriva persino ad un terroso che sa di liquirizia. L’esplosione minerale e fresca non si fa certo attendere in bocca e la sapidità accompagna magistralmente l’incredibile persistenza. Ecco come dovrebbe invecchiare un bianco.
San Michele 2001 – Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore
A dimostrazione che, come Bonci rivela, in quelle zone “le annate buone sono quelle cattive” perché i terreni sciolti e poco compatti hanno bisogno di fresco, ecco la prova con la bottiglia dell’anno seguente che sembra arrivare invece dal decennio precedente: le note ossidative sono troppo presenti e il retrolfatto risulta stanco e sa di “vecchio”. Didattica.


Pietrone 2009 – Castelli di Jesi Verdicchio Riserva DOCG Classico
12 mesi nel cemento e altri 12 in bottiglia per questo prodotto, ottenuto da uve con leggera surmaturazione raccolte ai primi di Novembre. Il bel giallo dorato apre al naso i sentori caldi di miele di acacia, salvia, di un fruttato giallo maturo con lievi note agrumate e di nocciola. Nonostante il calore alcolico, in bocca è tagliente per mineralità e freschezza; forse andrebbe servito a temperature non troppo basse. Buono da abbinare anche a carni bianche. 


Millesimato Spumante Metodo Classico Brut
Dalle stesse uve del Pietrone si ottiene la base spumante per questo metodo classico. Assaggiamo la vendemmia 2009 sboccata nel 2014 che presenta un perlage di buona grana e persistenza. I lieviti degli anni passati in affinamento si fanno ben sentire nell’impatto fortemente salino. In bocca c’è anche morbidezza che accompagna frutto e sapidità. “La liqueur deve accontentare un po’ tutti”, dice Bonci.
















Brut
Parte di quelle stesse uve finisce in autoclave per la produzione di una bolla di più facile beva. Questo Charmat è brioso e fresco, un po’ muto al naso. Di impatto irruento migliora sul finale che ricorda il vitigno. Per un aperitivo sbarazzino, in alternativa alle bollicine di Valdobbiadene, per esempio.







Rojano (passito)
Dall’appassimento sulle piante, le uve vengono raccolte a novembre e fatte fermentare lentamente fino ad un passaggio in barriques per quattro o cinque mesi in primavera.
Ambrato e intenso alla vista, avvolgente al naso sui toni classici (salvia, fieno) e toni caldi di frutta candita, miele e vaniglia. E’ da rilevare la grande bevibilità che possiede nonostante dolcezza e morbidezza tipiche di un passito: non risulta mai stucchevole pur rimanendo di spessore. La bottiglia da mezzo litro potrebbe finire in un attimo tra i discorsi di un fine cena.



Fatto l’acquisto per la Confraternita ne approfittiamo per qualche “souvenir” personale da stappare in ricordo della splendida giornata e ci congediamo da Giuseppe Bonci con la promessa di una verticale da fare in Abruzzo. 


La fame ci coglie appena saliti in macchina e ci fermiamo dopo poche curve in un ristorante consigliatoci dal produttore. La faccia tosta indossata all’ingresso della sala ci consente di arrivare al tavolo con alcune delle nostre bottiglie Bonci tra le mani: nulla da ridire da parte dei gentilissimi gestori del posto.



Praticamente la degustazione continua a tavola e ci dà lo spunto per tentare qualche abbinamento: tutto facile sui primi piatti, ma quando arriva il gigantesco vassoio di fritto misto alla Marchigiana scopriamo che il Pietrone si arrende subito di fronte alla carica di unto e veniamo salvati da una delle bottiglie della linea base. Nella vita non sempre serve una DOCG.


Pierluigi Aielli
(Addetto Stampa CdG)

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