Degustazione CdG - ALLE PENDICI DELL'ETNA - 04/11/2015
L’interesse di
spingersi molto a Sud alla ricerca di emozioni da degustare trapelava già da
tempo nei discorsi interni della Confratenita del Grappolo circa i temi da
approfondire. Ecco che finalmente l’occasione giusta ci viene offerta stasera dai
confratelli Stefano Mazzocca, Massimo Di Cintio e Massimo Caluori che ci permetteranno
di salire in quota scendendo però nel cuore del Mediterraneo: degusteremo
alcuni tra i vini più rappresentativi di un’enologia stoica che si spinge ad
alte quote sui fianchi del vulcano attivo più grande d’Europa, l’Etna appunto.
Tralasciando la storia
millenaria dell’enologia che su quest’isola inizia qualche millennio fa, per
apprezzare il valore che al vino viene dato in queste precise zone possiamo
citare la Maestranza dei Vigneri, una
corporazione di viticoltori fondata a Catania nel 1435 che aveva come obiettivo
principale quello di permettere alle nuove generazioni di apprendere come
coltivare le vigne e come produrre vino in quel territorio. Lo scambio di esperienze
provenienti da ogni singola casa-cantina, con torchio e grandi vasche per la
fermentazione detti palmenti, ha permesso lo sviluppo di un vero e proprio
microcosmo unico capace di offrire prodotti unici. La filosofia vitivinicola
etnea si potrebbe bene riassumere così: viti allevate ad alberello, vitigni
autoctoni, tutela dell’ambiente e rispetto del Territorio dell’Uomo.
Su questo Parco Nazionale aspro e incontaminato, su terreni prevalentemente sabbiosi misti a pomice, si estendono le superfici vitate a partire dai 300 metri slm sino ad arrivare oltre i 900. Le antiche vigne pre-fillossera allevate ad alberello godono allo stesso tempo sia del calore del mare siciliano che dell’aria sferzante e tersa di montagna, con escursioni termiche che arrivano a balzi anche di 30 gradi che permettono di fissare nelle uve tutti quegli elementi preziosi che caratterizzeranno poi il vino, arricchendolo in struttura, acidità e grande mineralità.
Le tecniche di
allevamento e vinificazione per la gran parte delle aziende avvengono
attraverso metodi naturali con la minima “interferenza” in cantina della mano
dell’uomo. Si vendemmia quasi sempre dopo la metà di ottobre fino ad arrivare a
novembre inoltrato. Tenuto a bada il timore delle piogge, si raccolgono uve
fresche e mature; si passa poi a fermentare senza termocondizionamento né
lieviti selezionati e vinificare in botti di legno con percentuali irrisorie di
anidride solforosa.
La zona di maggiore
interesse circonda ad arco l’area del vulcano abbracciandolo da Nord ad Est e
poi a Sud avendo migliore esposizione e risentendo dei suddetti influssi benefici
del mare.
I vitigni, manco a
dirlo, sono assolutamente autoctoni e in queste zone si lascia giustamente poco
spazio ai classici della regione o agli internazionali: a bacca rossa troneggiano
il Nerello Mascalese, capace di affrontare magnificamente l’invecchiamento e il
Nerello Cappuccio dal colore intenso; per i bianchi troviamo principalmente il
Carricante con la sua verve acida da smorzare con il legno e la malolattica.
Passiamo alla
degustazione e alle sensazioni avvertite insieme.
Si parte con i bianchi
e il primo vino è “Etna Bianco” 2013
della cantina Graci. Da vigneti della
Valle dell’Alcantara posti a 600 m con uvaggio di Carricante (70%) e Catarratto
si presenta in un luminoso giallo verdolino rivelando la giovane età e
preannunciando freschezza; al naso dominano i fiori gialli e il fruttato
tropicale è accompagnato da toni agrumati avvolti in leggero sentore
vanigliato. Nelle ulteriori olfazioni, a temperatura più alta, le note morbide
si attenuano lasciando scoprire una attesa mineralità.
In bocca è abbastanza
sapido e fresco, non impattante ma deciso.
Il secondo vino, “A Puddara” 2013 di Tenuta di Fessina, anch’esso a base di
Carricante arriva dalla zona a Sud del vulcano da quota 900 m. Il colore giallo
verdolino è meno intenso del precedente ma ancor più luminoso; un floreale
leggero ed elegante accompagna frutta bianca (mela) e note di nocciola. Secondo
alcuni la terrosità di fondo, dovuta forse alla maturazione in botti grandi,
svela l’artigianalità del prodotto. Buona la mineralità che arriva in un
secondo momento. Pieno e sapido, meno fresco del precedente ma più invitante alla
beva grazie ad una nota “verde” erbacea che si avverte nel retronasale.
Sicuramente da risentire tra qualche tempo.
Ora è la volta di Girolamo Russo con il “Nerina” 2013. La zona di produzione è
a Randazzo a circa 700 m con rese di 40 q/ha. L’uvaggio è simile ai precedenti
con il 70% di Carricante. Il colore vira sul verdolino/paglierino e c’è grande
consistenza nel calice; meno intenso dei primi ma assolutamente più elegante:
gli agrumi e il floreale si ripetono ma contornati da spiccata mineralità, note
di rosmarino e menta e leggerissimo sentore burroso dell’avvenuta malolattica. L’assaggio
regala mineralità e freschezza in primo piano egregiamente bilanciate dal corpo
pieno. Un vino equilibrato già ora.
Questo vino, limpidissimo
e lucente, volta totalmente pagina a livello di sensazioni rispetto ai bianchi
degustati stasera: l’impatto spiccatamente minerale lascia spazio a molto
altro: da toni quasi sulfurei a quelli resinosi e verdi, dalla lacca agli
idrocarburi leggeri. E questa complessità si unisce perfettamente ai sentori di
mandorla e fiori bianchi freschi e ad un erbaceo delicato. Bilanciato ed
elegante, in bocca è pieno e deciso in freschezza, la mineralità si mantiene
sul finale lungo che invoglia al sorso. Sicuramente può avere ancora margini di
miglioramento.
Dalla batteria dei
bianchi a quelli dei rossi si fa in fretta con “Etna Rosso” 2013 di Pietradolce,
zona a Nord nel Comune di Castiglione di Sicilia. Tutto Nerello Mascalese con
impianti a 600 m.
Il colore rubino non
intenso ricorda un giovane pinot noir. Al naso arrivano presto i frutti rossi
delicati come la fragola e lo speziato leggero di pepe bianco e anice;
l’agrumato si unisce alle sensazioni minerali elegantemente. Sul palato, passata
la sferzata di freschezza si possono apprezzare i tannini leggeri con un fondo
di sentori ferrosi. Tutto questo scatena una bevibilità irresistibile che non
fa avvertire i 14 gradi ben nascosti. Un vino sorprendentemente schietto.
Da vigneti a Nord-Est ci
arriva “I Vigneri” 2013 , consorzio
dal nome evocativo dei succitati vignaioli artefici e custodi di questo
territorio. Il Nerello è Mascalese (70%) e Cappuccio per la restante parte.
Il rosso rubino intenso
non eccelle in luminosità e riflessi, sintomo di non avvenute filtrazioni. Avvicinandolo
al naso si rivela avvolgente su toni molto caldi di marmellata di ciliegia,
prugna matura e lieve sentore fumoso immerso in spezie dolci. Il fruttato torna
prepotente anche al sorso e forse alla lunga può stancare; la morbidezza è
piena e calda anche se sullo sfondo appaiono tannini ancora ruvidi.
Miglioramento negli anni? Chissà.
Il successivo vino è “N’anticchia” 2013 di Tenuta di Aglaea sempre di Castiglione
di Sicilia, Mascalese in purezza. Si presenta rosso rubino spento, quasi
mattone sull’unghia ma limpido. Il fruttato è tanto strano quanto interessante
per un vino rosso essendo dominato da una pesca matura evidentissima. Segue
anche l’agrumato e un erbaceo di edera che secondo i nostri relatori
caratterizza la mano dell’enologo. I tannini delicati asciugano e detergono
lasciando un bel finale speziato lungo. Un vino ben fatto e molto equilibrato
già ora, ma forse non proprio rappresentativo dei caratteri comuni dell’Etna.
In molti credono che possa migliorare ancora.
Nell’ultimo calice
viene servito “Etna Rosso” 2011
dell’azienda Tenuta delle Terre Nere
di Randazzo.
Mascalese 95% e restante
Cappuccio con vigne che si estendono fino ai 900 m nella zona Nord.
Nel colore ricorda
molto il precedente anche se al naso è totalmente differente ma non meno
convincente: il pepe nero e la cannella si impongono da subito mentre appaiono
toni polverosi; buono il fruttato rosso maturo di agrumi sorretto da mineralità
di grafite e accenni di goudron. Nel cavo orale esplode
il calore alcolico che cozza con i tannini avvertiti subito come ruvidi; è un
vino pronto al quale manca ancora l’equilibrio. Tra qualche anno potremmo
sicuramente apprezzare maggiormente le annate successive a questa. Ricordare.
Passiamo così un paio
di orette girando placidamente attorno al vulcano. La soddisfazione dei
relatori si specchia in quella dei partecipanti felici di aver approfondito una
realtà divenuta quasi fenomeno negli ultimi anni; questo “Nord del Sud” come lo
definisce Salvo Foti de I Vigneri
regala emozioni che scaturiscono da una situazione pedoclimatica estrema mista
all’impegno centenario dei protagonisti.
Al gusto di ognuno
lasciamo le preferenze per futuri abbinamenti più che al cibo alle situazioni:
la bevibilità sincera di Pietradolce, la certezza stappando Girolamo Russo,
l’artigianalità de I Vigneri o la complessità affascinante di Pietra Marina
che, ad onor del vero, qualcuno ricordava ancora più notevole avendo degustato
annate meno recenti. Da ripetere, sicuramente.
Pierluigi Aielli
(Addetto Stampa CdG)
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