1 aprile 2016
Dall'idea di uno dei
responsabili della guida “Vini Buoni d’Italia” del Touring Club,
l’enogastronomo Andrea De Palma,
nasce quasi per gioco una degustazione di vini macerati che presenta con la
Confraternita del Grappolo coinvolgendo un prodotto abruzzese da lui apprezzato
sin dalle prime annate, il “C’Incanta”
di Cantina Tollo, frutto di una
sperimentazione ad opera del confratello nonché enologo di riferimento Riccardo Brighigna.
Il tono amichevole e
rilassato che caratterizzerà la serata viene sorretto dalla direzione
dall'anfitrione Andrea De Palma che, nel rispetto di chi è arrivato con
puntualità, parte con decisione nell'introdurci al tema con piglio serrato
ereditato forse dai suoi trascorsi di insegnamento.
Secondo lui il
crescente interesse negli ultimi tempi verso i vini “orange” potrebbe seguire
l’idea della riscoperta delle vecchie usanze, come l’attuale ritorno in auge
del classico “piatto della nonna” nel parallelo ambito gastronomico: i vini
irrobustiti con macerazioni spinte su bucce e persino raspi, fanno parte delle
tradizioni del nostro vino contadino, come ci ricorda evocando i vini della sua
terra, la Puglia, e queste pratiche vinicole che sono patrimonio delle passate
generazioni. E’ bello scoprire quanto possano essere vicine le esperienze di un
Sud assolato e mediterraneo con quelle di un Nord carsico e continentale, il
Friuli appunto, che domina oggi il panorama italiano di questa tipologia di
vino. Terreni calcarei e vitigni appropriati, con materia prima eccellente e
proveniente da vigneti non giovanissimi, possono essere da stimolo per la
sperimentazione di questo antico metodo di vinificazione.
Sul palchetto, gli
onori di casa sono affidati al confratello Pierluca Masciocchi che traccia i
riferimenti storici e le peculiarità di questi vini per affrontare poi al
meglio la degustazione. E’ una storia che vede gli albori molto lontano da noi,
nel Caucaso, dove circa 6000 anni fa già si vinificava in grandi contenitori in
terracotta interrati (quelli che oggi chiamiamo “anfora”), dove gli oltre 700
vitigni autoctoni di Georgia, Azerbaijan ed Armenia venivano lasciati
fermentare per 6-8 mesi alla ricerca di quelle forti ossidazioni che
caratterizzano il prodotto. Il risultato finale, se non si può ritenere un vino
rosso, di certo non è un vino bianco: questi vini longevi, quasi tannici e dalle
tante sfumature di colore saranno allora da considerare al pari di un rosso per
la temperatura di servizio e per l’abbinamento con il cibo. A tal proposito il
nostro ospite dice: ”Lo stesso vino diventa vini diversi”, è un vino quindi che
evolve e si apre pian piano nel calice e che va “aspettato” per almeno due
anni, lasciato riposare in bottiglia.
Sul finire degli anni
novanta la sperimentazione in tal senso venne affidata a Riccardo Brighigna
che, come lui stesso afferma, venne fatta quasi per scherzo, con la piena
disponibilità di Cantina Tollo: a fine vendemmia, il Trebbiano maturo di un
vecchio tendone poteva raccogliere la sfida ed essere adatto a questo “gioco”.
Senza la ricerca di eccesso di ossidazione, il mosto svinato venne fatto
riposare in vasche di cemento vetrificato. Il risultato dimostrò grande
potenziale, soprattutto se si lasciava il tempo necessario ad una prima
evoluzione nel cemento, e la bottiglia di “C’Incanta” venne scelta come dono
commemorativo per i soci nel cinquantennale di attività della Cantina.
Dal 2000 c’è stata la
richiesta a continuare e da allora la sperimentazione va avanti anche nella
ricerca del cru adatto (tra i vigneti più vecchi nelle zone di Crecchio,
Poggiofiorito e Collesecco) con una macerazione anche di 20 giorni e fermentazione
malolattica svolta sulle bucce. La scelta delle grosse vasche in cemento
vetrificato (250 ettolitri tenute sempre colme) rispetto ai contenitori in
acciaio assicura maggiore coibentazione e quindi protezione da eventuali sbalzi
termici, elimina il problema di elettrostaticità legata ai metalli e rende
disponibile una maggiore superficie di scambio sui lieviti.
Riccardo Brighigna ci
conferma che non tutti i vitigni sono adatti ad essere vinificati con questa
tecnica e che il Trebbiano non ha una tenuta qualitativa in assenza o quasi di
anidride solforosa: inevitabilmente verrebbero accentuati i toni amari e poco
fini. Quindi grande controllo della maturazione in vigna, anche per i
vinaccioli, come si fa per le bacche rosse, evitando l’estrazione di tannini
verdi e astringenti.
Fatta la doverosa introduzione
all'argomento, dalle note tecniche e storiche passiamo a raccogliere le
impressioni amplificate dai sensi di tutti i partecipanti, sotto la guida
esperta del nostro ospite.
C’Incanta 2012
Dopo un luglio con
piogge improvvise e temperature medie di 26 gradi, la raccolta delle uve
bianche venne accelerata per l’arrivo del forte caldo e anticipata appena dopo
Ferragosto. Questo è il ricordo di Riccardo Brighigna di quell’annata che fece
optare per una macerazione di una settimana e successivo periodo di due anni in
vasche di cemento e un anno in bottiglia, prima di portare il prodotto sullo
scaffale.
Un colore giallo oro
vivo e lucente spicca nel primo calice e al naso si apre lentamente alla complessità
attesa: il floreale giallo lascia il posto al delicato miele d’acacia mentre
appare un tostato leggero che sa anche di tabacco e di nocciola; ritornando sul
bicchiere si avvertono anche fini note di pasticceria. All’assaggio la
freschezza irruenta non è ancora bilanciata dal giusto peso delle morbidezze
che arriveranno col tempo. E’ come un bimbo vivace ma con grandi doti da
esprimere crescendo. Sicuramente da risentire.
C’Incanta 2011
La musica cambia
decisamente andando a ritroso di un solo anno e il 2011 mostra di cosa sia
capace anche un Trebbiano in evoluzione: al naso la complessità è stimolante e
spinge la platea a ritrovare tutte le sensazioni suggerite dal palco, come il salmastro e la pietra focaia, la creta
mista all’umami, il floreale sottile con lo speziato di zafferano, curcuma e
noce moscata. In bocca è forse ancora un po’ ostico e bisognerà attendere
l’evoluzione, ma comunque risulta meno aggressivo del precedente con sapidità e
mineralità a fare da filo conduttore. Servito ad una temperatura più alta
vedrebbe bene l’abbinamento con le carni. Grandi i miglioramenti per il futuro
di questa annata.
Falanghina Pierluca Masciocchi 2013
“Repiko” 2009 - K. Stekar
“Ribolla” 1999 - Gravner
Anche questa sera si sono rincorse sensazioni da condividere e c’è stato spazio di crescita per tutti i partecipanti, mettendo a fuoco una realtà nuova per alcuni e forse troppo di moda per altri.
C’Incanta 2010
Simile nell’aspetto
visivo, il campione del 2010 risulta sottotono rispetto ai precedenti, vuoi
anche per la piovosità registrata nelle nostre zone. L’impatto olfattivo è
dominato dal sentore cotto di sidro, mela matura e floreale giallo; erbe
officinali e sambuco rinfrescano ma non a sufficienza. Rivela grande morbidezza
glicerica ai ripetuti assaggi e la sua “mielosità” è penalizzata dalla mancanza
in acidità rispetto ai precedenti. Resta comunque un vino di spiccata
mineralità e appropriata sapidità.
C’Incanta 2008
Nel quarto calice il
giallo si veste di intensità che va verso l’ambra lucente. Il sospetto diffuso
di essere di fronte al migliore della batteria viene subito confermato: alla
complessità avvertita anche nel campione 2011 con sambuco e spezie fini si
aggiunge una eleganza che prosegue ed invita alla beva; dopo la prima mezz’ora
di chiusura questo vino si apre splendidamente in una morbidezza piena,
“carnoso, centrato sul frutto”(cit. De Palma). Gli angoli da smussare nel 2012
e 2011 sono qui ben levigati e danno bene l’idea del vero potenziale di questa
tipologia; il gusto dell’attesa prende senso e valore. Anche chi lo ha creato
si stupisce e parla finalmente di longevità. Da mettere sotto chiave e stappare
nel momento giusto, anche se godibile già ora.
Il confratello Pierluca
Masciocchi porge il petto dal palco aprendo la seconda batteria di vini con una
sua creazione da garagista, una Falanghina orange appunto. Ci racconta che le
uve sono state raccolte con un grado di maturazione molto alto (“era già orange
l’uva!” cit.), ma con un corredo acido molto ricco che faceva ben sperare.
Infatti la fermentazione spontanea tra le sue montagne aquilane “sembrava non
finire mai” e una limpidezza sorprendente accompagnava il vino sin dal primo
travaso. I 15 giorni di macerazione comunque si fanno sentire sia al naso che
sul palato: fresco l’agrumato accompagnato da canditi, uvetta sultanina e
albicocca disidratata; sul versante delle durezze spiccano la genziana e le
erbe aromatiche un po’ penalizzate dai tannini troppo presenti e spigolosi: a
tale proposito Pierluca ci svela il rimpianto di non aver potuto far fare al
vino un necessario passaggio in legno. Bisognerà dare a queste bottiglie
qualche anno in più di riposo, ma attenderemo insieme con pazienza. Complimenti.
“Jakot” Bianco 2009 - Terpin
Dopo la disputa con gli
Ungheresi di qualche anno fa per la paternità del termine Tocaj, venne scelto
“Friulano” per individuare anche geograficamente il vitigno autoctono di quelle
zone del nord-est; tra i vari nomi suggeriti ci fu anche “Jacot” (Tocaj letto
al contrario!) che la cantina Terpin ha invece registrato a proprio nome e che oggi
usa per la linea di prodotto in degustazione.
Quindi, le uve di
Friulano, diraspate e lasciate ad una breve macerazione (8 giorni) in tini di
rovere con fermentazione spontanea, forniscono la materia prima da elevare poi
per un anno in botti di rovere, un anno in acciaio e infine un riposo per un
altro anno in bottiglia prima della commercializzazione.
Il marchio del territorio e del vitigno arrivano già dalle prime olfazioni con il floreale ed il fruttato delicati, fini e tipici; le note evolutive, di miele, tabacco e legno, emergono pian piano proprio in accordo con la breve macerazione e lo stile ossidativo non estremo. Il miele avvertito al naso torna delicato anche in bocca ma sorretto dalle giuste note “dure” di freschezza che conferiscono al vino un equilibrio degno di nota. Manca forse la grande sapidità del Trebbiano dei primi calici ma di certo non manca l’eleganza. In sala, la platea accoglie molto bene questo prodotto, anche se una delle bottiglie stappate risulta sfortunata e quindi diversa dalle altre.
Dalla Slovenia troviamo
nel calice un orange composto da Riesling (90%) e una piccola parte di Picolit.
Le uve in questione,
dopo aver fermentato spontaneamente sulle bucce per 25 giorni, lasciano il loro
nettare per 24-36 mesi al riposo in botti di acacia che incideranno sui tannini
in modo non impattante ma molto più delicatamente se paragonate, ad esempio, a
quelle in rovere.
Al naso divide subito
la platea con la spiccata volatile che viene avvertita al primo approccio; in
seguito si riesce però ad apprezzare la freschezza aggiunta da quella acidità e
il suo tocco di artigianalità al prodotto. Ai sentori resinosi e a quelli
piccanti di rafano si appaiano toni più morbidi di cotto e di umami. Una giusta
acidità dona snellezza in bocca, accompagnata da sapidità concreta e
bilanciata. Belle le idee di abbinamento fornite dal nostro relatore ospite che
ci fa immaginare questo vino estremo a tavola con uno stracotto con rafano e
cetrioli o più semplicemente con un gran caciocavallo podolico o un pecorino
delle nostre montagne.
“Ribolla” 1999 - Gravner
L’ultimo campione in
degustazione viene da una delle ultime esperienze con il legno del grande
produttore di Oslavia del Collio Goriziano, Josko Gravner, oggi faro nella
vinificazione in anfora. Al tempo la vinificazione prevedeva una macerazione di
10-14 giorni in tini di legno e poi ancora legno in botti di rovere per tre
anni. Dopo l’evoluzione che questo vino, limpido ed ambrato, ha continuato in
bottiglia, sembrerebbe un vero vino rosso se degustato alla cieca: i sentori di
legno sono fini ma ancora molto presenti e una spiccata balsamicità lo rende
intrigante ed elegante. Una opulenza rotonda affiancata da sapidità e
freschezza taglienti fanno passare in secondo piano le note ossidative magari
più convincenti qualche anno addietro. De Palma si diverte a far salivare tutti
citando un perfetto abbinamento con un erborinato. Da provare.
Anche questa sera si sono rincorse sensazioni da condividere e c’è stato spazio di crescita per tutti i partecipanti, mettendo a fuoco una realtà nuova per alcuni e forse troppo di moda per altri.
E’ partita quasi per
gioco questa degustazione, proprio come avvenne per la realizzazione di quel
vino di Cantina Tollo; scherzando sul fatto che fosse datata primo aprile, ha
positivamente stupito anche il nostro Brighigna che ne apprezza ora la
potenziale longevità. Da lui ci arriva anche una lezione di umiltà, di
consapevolezza e di professionalità dichiarando la sua non presunzione nell'inserire
il “C’Incanta” nel panorama internazionale e, affermando di non essere certo
che questa possa essere la strada giusta, si dice pronto a sperimentare per
puntare a risultati sempre migliori.
Sicuramente Andrea De
Palma ci aveva visto lungo.
Pierluigi Aielli
(Addetto Stampa CdG)
PER VEDERE TUTTE LE FOTO DELL'EVENTO CLICCA QUI
Nessun commento:
Posta un commento